Mike Flanagan è una vecchia conoscenza di tutti i fan dell’horror: oltre a “Il gioco di Gerald” che è del 2017 il nostro ha diretto diversi film dell’orrore, tra cui “Oculus” e “Ouija-le origini del male”, ed è il creatore di alcune serie Netflix di recente uscita, “The Haunting of Hill House” su tutte.
Quando abbiamo a che fare con un mostro sacro, Stephen King, e un affermato regista horror come Flanagan è quindi lecito aspettarsi, da questo connubio, un prodotto che non deluda le nostre aspettative di appassionati dell’horror, se non addirittura un capolavoro del genere.
“Il gioco di Gerald” non è un romanzo qualsiasi di Stephen King. Può non essere annoverato tra i suoi capolavori, seppure molto, molto bello (la ripetizione è voluta), ma è il romanzo con cui il Re da una svolta al suo stile di scrittura e alle tematiche trattate, virando decisamente verso un’introspezione più psicologica dei personaggi e un ritmo più onirico, meno orrorifico rispetto al passato.
La storia narrata ne “Il gioco di Gerald” è molto particolare e potrebbe sembrare molto lontana dal genere horror, almeno nella sua prima parte: in realtà, proseguendo con gli eventi, gli elementi fantastici e orrorifici (filtrati attraverso la sua componente onirica) sono diversi e prendono il sopravvento, trasformando quella che era iniziata come una semplice disavventura in qualcosa di più profondo e terribile.
Jessie, la protagonista, non solo si trova ammanettata ad un letto, senza le chiavi per aprire le manette ne una soluzione immediata al problema, ma lentamente sprofonda in un viaggio spaventoso ed oscuro che oltre ai fantasmi persi nei labirinti della sua mente coinvolgerà creature ben più terribili e concrete.
Con la trasposizione cinematografica de “Il gioco di Gerald”, Flanagan riesce in pieno a trasportare tutto questo su schermo, dimostrandosi un esegeta rigoroso e rispettoso delle opere Kinghiane.
Per come la vedo io, i romanzi di King possono essere affrontati solamente in un modo: vanno interpretati come un direttore di orchestra potrebbe interpretare uno spartito di Bach o di Mozart, quindi aggiungendo qua e là qualche sfumatura personale, variando impercettibilmente una determinata sezione oppure dando maggior risalto ad un movimento piuttosto che ad un altro; ma il punto fondamentale è che le storie di King non vanno stravolte.

I romanzi di King sono come la musica classica: sono talmente calibrati e precisi che non c’è spazio per l’improvvisazione. L’unica eccezione, ma perché in quel caso Frank Darabont conosceva bene il materiale di partenza e ne aveva un gran rispetto, avendo diretto i migliori film degli ultimi decenni tratti da King, è rappresentato dal finale di “The mist”, che per quanto tradisse fondamentalmente quello di King lo faceva in un modo totalmente inaspettato e sconvolgente che andava ad arricchire la storia senza per questo stravolgerla.
Mike Flanagan ha saputo leggere lo spartito de “Il gioco di Gerald” come un consumato direttore d’orchestra: tutto quanto il film riesce a trasmettere i brividi e le sfumature che King aveva messo nero su bianco nel lontano 1992, risultando a mio parere tra le trasposizioni migliori tratte dai suoi romanzi.
Ma sentiamo che ne pensa a proposito Jason J. Myers, l’autore dei racconti horror presenti in questo blog:
” Il gioco di Gerald è un romanzo pazzesco, che rivela quanto King sia un genio e non un semplice scrittore di genere. E’ una storia fenomenale che Flanagan è riuscito nell’intento di non rovinare, ma anzi di trasportare su grande schermo in una maniera ineccepibile, da vero fan – oltre che regista – dell’horror Kinghiano. Da vedere!”
VOTO: 8
Autore della recensione: Jake Green